Appendice_Pandemia & Reincanto

“Sciamanesimo Urbano” di Eric Casagrande

Nel nostro secondo numero “L’urlo dell’asino di Michael Taussig e altre storie da Taranto”, abbiamo ospitato una riflessione dell’antropologo australiano sulla forma dell’asino e le connessioni eterogenee che il suo urlo ha stimolato nel e sul cosmo. 

Nel tentativo di ordinare un pò di pensieri, e di connettere l’urlo dell’asino al ‘Global Meltdown’, cornice teorica del suo ragionamento, scriviamo questo breve testo. Siamo infatti persuasi che fornisca degli strumenti importanti per un più ampio ragionamento sull’attuale crisi pandemica. Come collettivo epidemia, abbiamo riscontrato molte aderenze, anche se a scala e interpreti diversi, tra l’epidemia di Xylella in Puglia e il SarsCoV2. Abbiamo quindi sentito la necessità, tra di noi, di intessere le dimensioni dell’epidemia che si legano a quello che Taussig chiama lo ‘sfaldamento globale’, alle dimensioni esistenziali e politiche del cambiamento climatico e della crisi ecologica. Il 15, 16 e 17 Maggio 2019 abbiamo partecipato alla costituzione di un seminario al Macro Asilo di Roma, dal titolo ‘Il reincanto della natura. Movimenti sfuggenti e oscuro surrealismo’. Momenti più frontali si sono alternati a performance artistiche, con contributi da Isabella Mongelli, Future Farmers, François Pisapia e Carolina Saquel. Come nel caso del contributo in Epidemia 02, la riflessione di Taussig scaturisce da una curiosità intensa verso nuovi sensi nelle connessioni.  Il Global Meltdown è un movimento di cesura in cui tutto diviene qualcosa di diverso, tutto è in mutamento. Questo smembramento ha per Taussig una triplice dimensione: quella del Re-incanto della natura, quella del sublime metamorfico e quella del surrealismo oscuro. Partendo dagli spunti che abbiamo discusso in quei giorni, cercheremo di riscontrare le suscettibilità con la pandemia presente. 

§  Re-incanto della natura

Già di per sé la parola re-incanto presuppone una genealogia, un incanto originario. L’incanto originario è quello della natura animata, magica, origine delle teologie e cosmologie altermoderne. Gli anni di ricerca di campo in Colombia e in latinoamerica hanno fruttato ricche riflessioni circa il ruolo delle politiche dello spirito della materia. Non solo rispetto all’ontologia di entità non umane in civiltà altre, ma anche rispetto al tipo di metamorfosi che subiscono con l’incontro con il colonizzatore e le sue politiche della materia. Il disincanto allora è il processo illuminista di distanziamento, di trasformazione della natura e dei suoi elementi in organismi completi, definiti e definibili dal loro funzionamento interno. L’uomo in questo contesto si affranca dal mondo animale e vegetale, nel suo giudizio morale e etico. Per Taussig, questi passaggi tra incanto, disincanto e reincanto non sono da intendere in maniera progressiva, non vi è un movimento progressivo nel passare dal disincanto al reincanto, ma un movimento circolare, non del tutto separabile dal movimento precedente. La stessa idea di progresso, una delle idee alla base del movimento di dis-incanto della modernità, è anche’essa un incanto: cosa c’è di più magico che credere in un progresso infinito? Non ci sono dunque gradi 0 di incanto ma combinazioni diverse di incanto, dis-incanto e re-incanto. Lo studio approfondito del valore politico del magico e del sacro-negativo ha portato Taussig a studiare gli effetti della colonizzazione sul rapporto tra spirito e oggetti fino a denotare la captazione di questo potere associativo che avviene nelle pratiche ed estetiche contemporanee. Il dis-incanto prodotto dall’Occidente tempo fa costituisce ancora la lente e il punto di riferimento per vedere la realtà odierna. Ma la realtà dello sfaldamento globale rende significativa l’estetica del surrealismo oscuro, aprendo le porte a un universo re-incantato. 

Mentre Conte stringeva le misure di sicurezza sommando un decreto ad un nuovo decreto, l’acqua della laguna di Venezia veniva rappresentata come inusualmente pulita e limpida, con cigni che se ne svolazzavano tranquilli, e una rinnovata fauna marina. Difficile dire se la laguna abbia realmente beneficiato dal lockdown, ma sicuramente assistiamo ad espressioni simili da più parti. A Cagliari ci sono ancora i delfini, Barcellona viene invasa dai cinghiali, che non trovando più tanto traffico riescono ad entrare nel cuore dell’agglomerazione umana fino agli appetitosi cassonetti cittadini. Tutto ciò che stava attorno al nostro mondo, distanziato, sotto controllo, sembra fuoriuscire inesorabilmente. Il virus è la più grande testimonianza di questa rinnovata attenzione: l’incanto non è solo l’attribuzione di qualità alle entità della natura, ma di una rinnovata titolarità dell’azione animale. I salti di specie che compie il virus per sopravvivere ci ricordano la natura degli ambienti in coevoluzione sulla crosta terreste, e quali conseguenze hanno sulla sua stratigrafia. Questa consapevolezza subisce però l’eccezione e l’emergenza. Non tanto quella agambeniana, che ha fatto e sicuramente farà discutere il dopo-epidemia, ma quella dei fabbisogni conoscitivi. Quali informazioni sono utili per comprendere e agire in questa situazione? L’eccezionalità in questo senso fa perdere il valore euristico dell’evento, avvalorando l’ipotesi che quello che ci rimanga, dopo l’emergenza, siano un pugno di mosche e una libertà limitata in deroga. Come successo per la Xylella, non è utile pensare a come un batterio sia arrivato in una ecologia precaria del sud Europa, ma invece è la conoscenza di contenimento l’unica strumentale e strumentalizzabile, e il resto sono quisquiglie. Anche la Xylella ha fatto un salto di specie, dalle piante ornamentali di caffè, all’olivo.

Allo stesso modo le consapevolezze sistemiche che davano questo tipo di assunzioni sono state considerate pseudoscienza, anche perchè generavano una associazione di pensiero facile: se il problema è la circolazione di vegetali ai ritmi del mercato globale e la devastazione degli ambienti (il batterio fiorisce dove ci sono ambienti monocolturali, strettamente legati all’azione storica dell’umanità),  può la risposta essere in un più serrato controllo? Fino a che punto ci spingiamo per controllare il vettore del batterio? L’eccezionalità della conoscenza pronta per l’uso rende necessaria una cesura sulla complessità di mettere assieme e associare conoscenze diverse e difficili da combinare. E’ attraverso la stessa emergenza che si spera di poter ridare credito e vigore, una volta per tutte, ai fatti e le verità scientifiche: chi ha dubitato della scienza, dopo queste emergenze, finalmente, sarà silenziato e si potrà ricredere. Qualcosa di molto simile è accaduto anche con l’emergenza legata al covid-19, dove l’incertezza della conoscenza scientifica ha fatto fatica a manifestarsi come incertezza nell’esperto(1). Burioni è un esempio fin troppo facile di questi comportamenti, estremamente mediatizzati. Anche Enrico Bucci, che lo ha accompagnato nella televisione al tempo del Covid-19, ne è un esempio. Lo stesso Bucci, inseguendo lo scandalo conoscitivo, è tra i personaggi che più hanno tentato una pulizia epistemologica d’emergenza nel caso Xylella. L’attenzione verso ‘la cattiva scienza’ si manifesta in una mancata considerazione e un mancato approfondimento scientifico di come si sia generato un virus con queste capacità e come abbia raggiunto gli angoli più remoti del globo. Anche nel caso Xylella, il fatto che il batterio provenisse da una movimentazione attraverso l’Atlantico di piante ornamentali di caffè non trova spazio e giustificazione in questo riduzionismo epistemico.

Tanto più il paradigma del dis-incanto sia incerto e insufficiente nel dare spiegazioni del presente, quanto più la civiltà che l’ha generato si protegge dal negativo attraverso espedienti incantati, non necessariamente quelli dello sciamanesimo. Non è un caso che i personaggi sopra citati siano stati ospiti costanti delle televisioni italiane in questi giorni di pandemia: le tecniche di incanto sono affinate per disciplinare le associazioni che un trauma come quello in corso potrebbe generare. In un articolo di Beneduce “il fenomeno patologico lo si comprende quando si evita di scomporlo “in dettagli” (Canguilhem, 1966), quando lo si guarda in modo diverso senza rimanere prigionieri di quella che Althusser (Althusser, Balibar, 1968) definiva “l’opacità dell’immediato”.  Cosa succederebbe, se, come nel caso della Xylella, l’unica alternativa ad un vaccino fosse la convivenza con questo virus?

§ Movimenti Sfuggenti

In questa incertezza, nulla è più come sembra. Il disincanto è stato esso stesso un incanto fatato, dove le cose, gli oggetti e le entità sono sembrate sospese, per secoli. Nello sfaldamento globale tutto si muove, e si muove velocemente. Tutto sfugge al controllo sereno delle categorie della modernità occidentale. La prima cosa che si muove, è, ovviamente, la Terra. Come tante altre cose, non aveva mai smesso di muoversi, non è mai stata una entità separata, ma sembrava che avessimo acquisito una tecnica infallibile per riportala all’ordine, la cartografia. Le condizioni a contorno dello spazio moderno sono tutte saltate. La geografia, come ha affermato Farinelli(2), esce dal millenario periodo tolemaico. Lo statuto ontologico del virus, indefinibile, ci costringe ad avere a che fare con la nuda sfera.  Dal fare le mappe del mondo, descriverlo e rappresentarlo secondo dei parametri geometrici, passiamo a fare il mondo delle mappe, e dunque a rianimarle delle relazioni che le agitano. La cartografia è uno degli strumenti magici del disincanto occidentale. Strumento coloniale per eccellenza, non rappresenta una realtà, ma la crea reificandone significati e attribuendone ontologie immobili. Regola e definisce la realtà di un mondo che senza di essa non saremmo stati capaci di pensare tutto insieme, e di valicare con la violenza di questa epistemologia predatoria. Ha racchiuso l’immagine del mondo in una sua rappresentazione, e ha orientato il potere che scaturisce dall’immaginare e rappresentare il mondo(3). 

In questi mesi di emergenza sanitaria abbiamo assistito nondimeno ad una proliferazione dello strumento cartografico per rappresentare la patologia. Ed è dallo strumento cartografico, propriamente tematizzato, che la natura emerge come incantata. Alcune carte hanno paragonato l’incedere del virus con una manifestazione costante di superamento delle soglie di polveri sottili che deprimono l’immunità del sistema ecologico, sia in Lombardia che nella regione di Wuhan. Altre hanno associato l’assemblamento e agglomerazione di attività industriali con la presenza di nuovi contagi; o ancora, il traffico e lo spostamento dei soggetti con i numeri delle manifestazioni patogeniche del virus.

Lo strumento cartografico ci suggerisce la natura del (dis)incanto. Il negativo della cartografia ci presenta quello che sulla cartografia non è rappresentabile, il paesaggio. Pur non riuscendo a rappresentare l’incontro in continua evoluzione che produce paesaggio, rappresenta il conto – tutto antropocentrico – della sua esternalizzazione, e della sua decifrazione in unità di misura. Come sostiene Pellizzoni, la partita, nei commenti e nelle analisi che si sono susseguite sulla pandemia, si è giocata esclusivamente sulla scala della vita politica, dove la vita ‘animale’ dell’umano, è servita esclusivamente come contraltare alla prima. Il paesaggio si rianima perchè, come affermava Meinig (1979)“runs counter to recognition of any simple binary relationship between man and nature” , e dunque è manifestazione delle relazioni mutevoli, di potere e soggiogazione, di imitazione, che definiscono ciò che è umano e ciò che non vale tanto (non solo il non umano, ma anche l’umano che non vale tanto). E’ dove avvengono le metamorfosi, dove gli incontri generano accostamenti inusuali e indeterminati tra organi di corpi diversi. Nella letteratura postcoloniale, questo incontro è sublime, perchè avviene tra lo sfruttato e la materia del suo sfruttamento. Vi è un divenire materia, come una morfogenesi dei versanti stratificata con i corpi dell’alienazione e del dominio. Come ha sottolineato Taussig nell’urlo dell’asino, vi è una politica dell’irrazionale che lega lo sfruttamento animale a quello umano, l’emarginato alle materie e entità della sua emarginazione(4). Anche nel nostro lavoro collettivo di ricerca (in parte rappresentato dall’articolo Finibus Terrae del numero 02 di Epidemia) abbiamo riscontrato una territorializzazione dell’olivo e della sua storia sull’umano, dalle altezze della grecia classica, ai torpori dei trappeti, frantoi ipogei dove l’umanità disumana condivideva l’ossigeno umido con l’asino che spingeva la macina. 

Il re-incanto è un movimento di apertura allora, delle forze fantasmatiche e dell’angoscia del divenire altro, della metamorfosi. 

Ripropongo qui un frammento del quadro di Hieronymus Bosch, suggerito dallo stesso Tuassig durante le giornate romane, “il giardino delle delizie”. E’ un frammento perchè questo quadro è completato da due tavole ai suoi fianchi: a sinistra il giardino dell’Eden e a destra il giudizio universale, l’apocalisse. Nel secondo e terzo pannello, le ibridazioni di umani e non umani sono al centro della rappresentazione: uomini albero, sfere composte da materie organiche e materie inorganiche. Neanche a dirlo, quando le ali laterali del dipinto sono chiuse su quella centrale, appare la sfera terrestre, comunemente considerata come una sua rappresentazione al terzo giorno della genesi, prima della creazione di uomini e animali. 

Il Giardino delle delizie, olio su tavola Hieronymus Bosch (1480-1490 circa)

§ Surrealismo Oscuro

In questo mese abbiamo osservato da più parti il parallelismo tra gli anni venti del Novecento e la realtà cent’anni dopo. Alessandro Barbero ha citato questa corrispondenza da un punto di vista storico: l’occidente della belle epoque era similmente globalizzato, e guidava il commercio internazionale secondo il principio della divisione del lavoro, impostando il rapporto neocoloniale che lo storico economista Karl Polanyi ha saputo descrivere molto lucidamente alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Similmente, il neoliberismo ha trionfato indiscusso in tutte le politiche della democrazia socialdemocratica, non esiste nessuna alternativa, neanche quella che l’alba della rivoluzione rossa aveva dato all’Europa del XX secolo. Le pance insoddisfatte della polarizzazione sociale riversano il consenso su personaggi discutibili, con estetiche rassicuranti: in un caso è finita con il tragico trauma della seconda guerra mondiale, nell’altro caso invece viviamo lo sfaldamento globale, il global meltdown. La correlazione funziona anche per quanto riguarda la febbre spagnola e il covid-19, che si manifestano esattamente ad un secolo di distanza. Entrambi virus che generano, tra l’altro, complicazioni polmonari(5). In questo caso, ad essere evocate da Taussig sono dunque le proprietà fantasmatiche delle pandemie virali. Definisce questa estetica dei fantasmi “surrealismo oscuro”. Anche qui ritorna il parallelismo con gli anni Venti del Novecento: il surrealismo si afferma come corrente, sensibilità artistica ereditaria del Dada, che esprime una realtà oltre il reale, fatta di sogno e inconscio, in cui ciò che scaturisce dall’irrazionale risulta come oggetto dell’interesse artistico e non solo. 

Che cosa ha a che fare il surrealismo con il surrealismo oscuro di Taussig? Sicuramente una serie di canoni e tracce estetiche, ma anche un peso considerevole che queste assumono nel veicolare la complessità attraverso delle lenti che ingannano e incantano i nostri occhi. Per Taussig, per come l’ho inteso, il surrealismo oscuro, come traccia estetica, manifesta questa apertura creativa verso “lo spazio della morte”. L’avviso di Taussig allora è quello di constatare dove le proprietà dell’inconscio, del fantasmatico e dell’irrazionale sono agite e agitate per altri fini. Trump e Fox News già usano l’altra faccia dell’estetica del Dada, con la stravaganza, la derisione e l’umorismo performano una scena surreale e metafisica. In questo contesto l’umorismo memetico è parimenti coinvolto in questo gioco dell’irreale. Più di ogni altra cosa, il capitalismo è magico, perchè ha assunto  sulle soggettività i poteri delle forze occulte. Chi infetta chi? Già si sente parlare di revenge shopping: finita la quarantena potremmo tornare a quello che ci mancava tanto, andare in un bel centro commerciale e farci ipnotizzare dalle sue stregonerie, vendicandoci per quello che il virus non ci ha fatto comprare. Il potere fantasmatico della pandemia viene veicolato da queste forze. In questo mese però non si è notato solo il surrealismo delle varie declinazioni che assume il potere per riprodursi. Come penso, il surrealismo oscuro è anche inteso come una forma di incanto che disincanta, così vicino ad una padronanza della non padronanza (mastery of non mastery per come la chiama Taussig), una forma estetica che serve per sprigionare tanto quanto serve ad imprigionare. Per questo negli scritti di Taussig si riscontrano spesso passaggi che sembrano giochi di parole “chi sta stregando (si legga infettando) chi?”. In questo mese il surrealismo oscuro a mio parere ha caratterizzato molto della produzione creativa attorno ad una realtà distopica, come quella che ci sentiamo di vivere. Essere sciamani di se stessi allora, orientando queste estetiche in forze liberatorie. Per il soggetto, sicuramente. Ma un soggetto che è corpo senza organi, o meglio, i quali organi sono in metamorfosi continua con ciò che lo circonda. Tocchiamo con mano la precarietà alla quale ci ha portato di speculazione neoliberista più di prima, con l’agghiacciante consapevolezza che chi stava male, ora se la passa ancora peggio. Orientare questa forza dell’oscurità creatrice, questo è l’avviso di Taussig. Non è una scelta, ma una necessità, guardare alle vie di fuga, alle connessioni che solo l’oscurità può rendere più chiare.

Note:

(1) La differenza è stata spiegata benissimo da un articolo di Luigi Pellizzoni, apparso sul Fatto Quotidiano Sabato 28 Marzo: “Lo scienziato controlla oggetto e domande d’indagine. L’esperto affronta un problema che altri (o altro, come il Covid-19) gli pongono, tipicamente non inquadrabile in un singolo campo disciplinare”

(2) Ultimamente, si è espresso così in un intervento alll’Associazione Italiana Insegnanti di Geografia https://www.aiig.it/2020/04/01/questa-terra-questo-virus-fare-pensare-e-insegnare-geografia-3-aprile-2020-ore-18-00/

(3) In geografia già da tempo si fanno riflessioni su rappresentazioni alternative dello spazio, segnalo a questo proposito, ‘The decolonial Atlas’ e il collettivo Iconosclasistas.

(4) L’ultimo suo libro si chiama ‘Palma Africana’, dove ripropone la natura di queste metamorfosi sublimi.

(5) La febbre spagnola si chiama così perché la Spagna era l’unico stato neutrale durante la prima guerra mondiale: gli stati di eccezione – stavolta si – dei belligeranti rendevano impossibile condividere notizie antipatriottiche sul fronte.