L’agroecologia e le lotte contadine – di Sylvia Pérez-Vitoria

In vista dei prossimi appuntamenti di Ecologia Politica, in particolare quello a Venaus al campeggio organizzato dal 20 al 22 luglio, proponiamo qui un articolo di Sylvia Pérez-Vitoria intitolato ‘L’ Agroecologia e le Lotte Contadine’, apparso sul terzo numero della rivista Epidemia. Il tema è proprio quello alla base delle discussioni che interesseranno la giornata del 21 luglio, intorno a ‘Cibo e Pandemia’. L’autrice, infatti, sottolinea tutta l’importanza del cibo, non inteso solo come dieta alimentare (con tutte le sue implicazioni sulla salute), ma piuttosto come nutrizione. Da qui riprendiamo il suo discorso, dove la salute e la nutrizione che tiene da conto non sono solo quelle degli umani.


I Fondamenti dell’Agroecologia


Il termine compare per la prima volta nel 1930, quando l’agronomo cecoslovacco Basil Bensin propone di creare a Roma il primo istituto internazionale di agricoltura fondato sull’ “agroecologia”. Ma sarà solo negli anni ottanta che l’agroecologia diventerà, in America Latina, una vera e propria area di ricerca e di pratica. L’esigenza di rispondere ai disastri causati dall’agricoltura industriale creò una convergenza tra ricercatori e comunità contadine. Successivamente l’agroecologia si arricchirà di apporti provenienti dall’agronomia, dall’ecologia, dalla geografia, dalle discipline storiche, sociologiche, antropologiche ed etnobotaniche. Fu così che si formò un approccio multidimensionale all’agricoltura, grazie a una solida struttura agronomica ed ecologica, unita a una centralità degli aspetti socioeconomici e sociopolitici.

Per l’agroecologia l’unità di analisi è l’“agroecosistema”. L’uomo attraverso le sue pratiche ha trasformato gli ecosistemi (ecologici) in agroecosistemi: si tratta di una forma di artifcializzazione della natura attraverso il lavoro agricolo. Tali agroecosistemi risultano una costruzione sociale, prodotto della coevoluzione di esseri umani e natura. Nel corso della storia, l’interazione dei diversi gruppi umani con la natura è stata molto diversifcata. In alcuni casi è risultata ecologicamente “corretta”; in altri, al contrario, ha portato a degradazioni che hanno compromesso la stessa sussistenza dei gruppi umani. L’agricoltura industriale è il fulgido esempio di questa relazione distruttiva.

L’agroecologia intende partire dalle esperienze in cui l’uomo ha condotto forme corrette di riproduzione sociale ed ecologica. L’agroecologia afferma che le conoscenze più rilevanti per la valutazione degli agrosistemi si ottengono studiando il modo in cui l’agricoltura cosiddetta tradizionale ha lavorato con gli ecosistemi dimostrando la capacità di mantenerli intatti. L’esempio della biodiversità è particolarmente significativo poiché i luoghi con la più alta diversità biologica nel mondo sono quelli che vengono lavorati in maniera tradizionale. Le conoscenze e le pratiche degli agricoltori sono quindi avanzate e fungono da riferimento. A un livello tecnico-scientifico, l’agroecologia parla di “riscoperta” delle conoscenze contadine accumulate nel tempo. Si tratta di una rivoluzione, poiché le conoscenze e i savoir faire che per decenni sono rimasti marginali, vengono in questo modo riabilitati.

L’agroecologia mira a stabilire una vicinanza con gli equilibri naturali. L’efficienza ecologica è in tal senso definita come la capacità di un sistema di ottenere la massima efficienza con il minimo costo energetico e costo materiale, che permette di sopravvivere senza compromettere la stabilità degli agroecosistemi.

La sostenibilità di un agroecosistema, per l’agroecologia, non è dovuta unicamente a fattori ecologici, infatti essa è strettamente legata anche alle pratiche colturali proprie di un certo contesto socioeconomico. Per perpetuare l’agroecosistema bisogna in primis garantire il benessere di chi lavora al suo interno. Ciò implica tener conto di tutti gli aspetti della vita sociale, culturale e politica che si svolgono attorno agli agrosistemi. Pertanto, la transizione agroecologica di un sistema (che sia un solo appezzamento di terra o un’intera regione) richiede approcci complessi. Non è sufficiente passare dal convenzionale al biologico. Dal punto di vista agronomico si tratta di approcci sofisticati basati su pratiche e conoscenze locali e che variano da un luogo all’altro, al fine di replicare il più possibile ciascun equilibrio naturale locale: la policoltura associata all’allevamento del bestiame, alla rotazione delle colture, al recupero dell’acqua, l’utilizzo di piante selvatiche, l’agroforestazione… È però chiaro che non esista nessuna “lista” di tecniche agronomiche ad hoc, poiché ciascun agroecosistema, se considerato nel suo insieme, risponde a caratteristiche specifiche.


Per l’agroecologia, ad essere preso in considerazione è l’intero sistema agroalimentare. È necessario quindi studiare la storia agronomica e sociale del luogo, la memoria delle conoscenze, le proprietà della terra, le caratteristiche dei suoli, i flussi di energia, lo stato della biodiversità. Dobbiamo tener conto delle dimensioni economiche (modalità di scambio e prezzi), politiche (politiche agricole, forme di potere), dei movimenti sociali (in particolare dei movimenti contadini).


Vediamo delle applicazioni pratiche di questo in giro per tutto il mondo. Molte si trovano in America Latina. Il Brasile, ad esempio, si distingue per una gestione centralizzata delle pratiche agroecologiche da parte dello stato, ma vi sono anche alcuni movimenti, primo tra tutti il Movimento dos Trabalhadores Rurais Sem Terra (o Movimento Sem Terra, in italiano “movimento senza terra”).

Nuove Lotte Contadine

L’agroecologia attribuisce un ruolo centrale ai contadini, rompendo così una tradizione storica, economica e sociologica (incluso il marxismo) che fa dei contadini una categoria arcaica, retrograda, conservatrice e in via di estinzione. In effetti l’emergere dei “nuovi movimenti contadini” in opposizione al processo di industrializzazione dell’agricoltura e alla globalizzazione sembra supportare la teoria agroecologica. Alcune date segnano questo processo. Nel 1984 il Movimento Sem Terra in Brasile, nel 1993 nasce a Mons (Belgio) Vía Campesina, che riunisce piccoli agricoltori, contadini senza terra, operai agricoli, donne rurali, popolazioni indigene e pescatori. Un movimento internazionale con duecento milioni di membri e 182 organizzazioni in ottantuno paesi. Si tratta del più grande movimento sociale del mondo. Nel 1994 vediamo il movimento Zapatista crescere e affermarsi in Messico, comprendendo i popoli Maya contadini. Da allora diversi contadini hanno continuato a organizzarsi in diversi continenti. Questi movimenti affermano la necessità di una vasta “contadinanza” (paysannerie), sono movimenti attivi sia nella lotta che nella creazione di alternative. Le loro rivendicazioni riguardano:

Terre. Riappropriarsi delle terre nei luoghi in cui la disparità di distribuzione è molto elevata (Brasile, India). È così che in Brasile trecentocinquantamila famiglie sono state in grado di stabilirsi in otto milioni di ettari. Le lotte mirano anche a prevenire il land grabbing e l’accaparramento delle terra da parte di fondi finanziari sovrani, promuovere l’inserimento dei giovani, favorire pratiche che mantengano la fertilità dei suoli. La conservazione dei terreni agricoli è una vera sfida di fronte alla cementificazione, all’estrattivismo e alla costruzione delle grandi opere inutili, come in Francia, dove i progetti dell’aeroporto di Notre-Dame-des-Landes e EuropaCity nel triangolo di Gonesse sono stati nel tempo abbandonati. Mentre in Italia, vicino Firenze, i giovani hanno occupato duecento ettari di terreno pubblico a Mondeggi (Mondeggi Bene Comune). La questione della terra è cruciale perché, ricordiamo, attualmente il 75% del cibo dell’umanità è prodotto dai contadini che lavorano il 25% delle terre agricole.

Biodiversità e semenze. Controllare i propri semi è fondamentale per gli agricoltori. Lo si fa per prevenire la perdita di biodiversità e per non lasciare il controllo delle sementi alle industrie. Le lotte contro gli OGM (attraverso l’istituzione di territori liberi da OGM o sabotaggi) hanno permesso di rallentare la diffusione di pratiche pericolose, anche se la lotta non è affatto finita. Parallelamente, quasi in tutto il mondo sono state istituite reti di agricoltori per lo scambio di semenze al fine di promuovere la biodiversità (si tratta di pratiche che si pongono quasi al limite della legalità). Questa è l’unica garanzia che l’uomo ha nel lungo termine al fine di nutrire sé stesso.

Saperi e savoir-faire. L’industrializzazione dell’agricoltura ha espropriato i contadini delle loro conoscenze e abilità. Ora i contadini stanno cercando di riappropriarsene, sperimentando e scambiando le loro scoperte e istituendo scuole per trasmetterle. In America Latina il movimento Campesino a Campesino (in italiano “da contadino a contadino”) e le sue scuole di campo ne costituiscono un grande esempio.

Scambi. La liberalizzazione degli scambi è particolarmente distruttiva. Essa mette in competizione i lavoratori della terra di tutto il mondo, gli uni contro gli altri. Questo meccanismo avvantaggia principalmente le multinazionali, le uniche a dominare i mercati mondiali. La liberalizzazione degli scambi mette in pericolo la nostra capacità di nutrirci, sottraendo valore alle nostre decisioni. A questa situazione gli agricoltori hanno fornito due soluzioni: la “delocalizzazione del commercio” (gli AMAP in Francia, i GAS in Italia, i GASAP in Belgio, i TEIKEI in Giappone, le CSA negli Stati Uniti), insieme alla riscoperta di una “sovranità alimentare”, un concetto che deve essere distinto da quello di “sicurezza alimentare”. Quest’ultimo è propugnato dalla FAO e dai vari esperti ufficiali ed è definito come segue: «(La) sicurezza alimentare esiste quando tutti gli esseri umani
hanno, in ogni momento, accesso fisico ed economico a cibo sufficiente, sano e nutriente che consente loro di soddisfare le loro esigenze energetiche e le loro preferenze alimentari per condurre una vita sana e attiva
». Ciò significa che un paese che possa permettersi di importare il 100% del suo cibo raggiungerebbe così una sicurezza alimentare. È invece differente la nozione di sovranità alimentare adottata da Vía Campesina nel 1996: «(Il) diritto delle persone ad un’alimentazione sana, rispettando le culture, prodotta con metodi sostenibili e rispettosi dell’ambiente, nonché il diritto di definire i propri sistemi alimentari e agricoli» (Nyéléni 2007). Ci troviamo quindi nel campo della produzione e non del consumo.

Proletarizzazione. I contadini non vogliono impoverirsi sulle proprie terre, cosa che probabilmente accadrà a causa dei recenti processi di accaparramento terriero ai quali stiamo assistendo. Si tratta di impedire che i contadini siano costretti a emigrare (in Messico o nei Paesi dell’Est), come anche di facilitare il loro ritorno. È così che si combattono quelle lotte che accomunano piccoli agricoltori e braccianti, che spesso sono migranti.

Nutrizione. La nutrizione deve essere distinta dall’alimentazione, poiché essa pertiene ad una sfera squisitamente antropologica (le tradizioni culinarie, la condivisione dei pasti, etc.). I contadini lottano affinché l’umanità sia nutrita e la qualità prevalga sulla quantità. Questa è una lotta importante quanto difficile contro le multinazionali del settore alimentare le quali esercitano un considerevole potere di controllo sugli alimenti; una lotta che, forse più di altre, presuppone che gli abitanti delle città siano consapevoli del danno ambientale ed alla salute che il cibo industriale a basso costo arreca.

Queste lotte sono spesso legate all’azione di altri movimenti sociali, in questo i contadini hanno spesso ricevuto il sostegno di altri settori della società civile. Va evidenziato quanto questi temi di mobilitazione non siano affatto generati da forme di corporativismo. Al contrario essi vanno a coincidere con le principali sfide e questioni planetarie: come possiamo nutrirci? Come riparare gli ecosistemi distrutti dalle cattive pratiche? Come affrontare la questione occupazionale? (un’altra agricoltura creerebbe lavoro), come affrontare il tema della salute? delle relazioni città-campagna? Sono queste le questioni che l’agroecologia cerca di risolvere attraverso approcci programmatici.

L’ Agroecologia Contadina

La crisi del 2008-2009 toccherà anche l’agricoltura provocando un forte aumento dei prezzi e conseguenti sommosse scatenate dalla fame. Gli organismi ufficiali (governi, organizzazioni internazionali, istituti di ricerca) hanno però lanciato alcuni segnali in favore di una rimessa in discussione dell’agricoltura industriale. A tal proposito sono stati pubblicati numerosi rapporti ufficiali, per citarne alcuni: l’“International Assessment of Agricultural Knowledge, Science and Technology for Development (IAASTD)” su iniziativa della Banca mondiale e della FAO, che ha dato uno slancio al movimento agro-ecologico. Nel 2011 è apparso il rapporto di Olivier de Schutter, relatore speciale delle Nazioni Unite concernente il diritto all’alimentazione, “Agroecologia e Diritto all’Alimentazione”. Nel 2013 è stato l’UNCTAD (United Nations Conference on Trade and Development) a pubblicare il report “Wake up before it is too late: Make agriculture truly sustainable now for food security in a changing climate” (“Sveglia, prima che sia troppo tardi: Rendere l’agricoltura sostenibile adesso per la sicurezza alimentare in un clima che cambia”). La FAO continua a organizzare conferenze e moltiplicare progetti a favore dell’agroecologia. Queste organizzazioni riconoscono, almeno in parte, i danni causati dall’agricoltura industriale, nonché la necessità di rivedere i modelli agricoli. L’agroecologia è però usata come mezzo per “inverdire” l’agricoltura senza però toccarne le fondamenta. Assistiamo così allo sviluppo di una serie di pratiche agronomiche tradizionali da parte degli agricoltori che però falliscono nel mettere in discussione le disparità delle strutture produttive agrarie e che mantengono i pilastri della modernizzazione tecnico-agricola, così come gli assunti alla base del libero mercato. Il caso della Francia è da questo punto di vista emblematico. Nel 2012, l’agroecologia è diventata la “linea” ufficiale del Ministero dell’Agricoltura. È quindi soprattutto la dimensione tecnica ad essere privilegiata: si parla di “agricoltura ecologicamente intensiva” e di “doppia performance” economica ed ecologica, dei concetti completamente estranei all’agroecologia.

In risposta a questo recupero Via Campesina affermerà di portare avanti un’idea di agroecologia contadina come strumento di trasformazione sociale. È nel 2008, durante la quinta conferenza svoltasi a Maputo (Mozambico), che Via Campesina adotta l’agroecologia. Successivamente, un’attività di approfondimento dell’approccio viene condotta dal movimento regione per regione. Il primo incontro in Europa si svolge nei Paesi Baschi (Spagna) avviando nel 2012 un programma di lavoro incentrato sulle tecniche agroecologiche. Gli incontri si moltiplicano, culminando nel primo incontro mondiale di agroecologia e semenze contadine di Via Campesina che si tiene dal 6 al 12 novembre 2012 a Surin e Bangkok (Tailandia), un incontro incentrato sulla nozione di “agroecologia contadina” e di “agricoltura contadina agroecologica”, concetti che vengono adottati anche durante l’ultima conferenza a Jakarta nel giugno del 2013, che passerà alla storia per l’“Appello di Jakarta” (Jakarta Call), dove l’agroecologia viene presentata in questa maniera:

«L’agroecologia è la nostra opzione per il nostro oggi e per il nostro domani L’agricoltura contadina, la piccola pesca e la piccola pastorizia costituiscono la maggior parte del processo di produzione alimentare. L’agroecologia contadina è un sistema sociale ed ecologico che include un’ampia varietà di conoscenze e pratiche radicate in ogni cultura e area geografica. Elimina la dipendenza delle agrotossine e dall’allevamento intensivo, utilizza energie alternative e garantisce un’alimentazione sana e abbondante. Rafforza la dignità, onora la conoscenza contadina tradizionale e innovativa. Ripristina la fertilità e l’integrità della terra. La produzione alimentare del futuro deve basarsi su un numero crescente di persone che producono in modo più resiliente e diversificato. L’agroecologia mira a difendere la biodiversità, raffreddare il pianeta e proteggere i nostri suoli. Il nostro modello agricolo può non solo alimentare tutta l’umanità, ma è anche l’unico modo per fermare l’avanzamento della crisi climatica grazie alla produzione locale in armonia con foreste, fiumi; migliorare la biodiversità e sostituire la materia organica nei cicli naturali.»

Mondeggi Bene Comune.
(fotografia da mondeggibenecomune.nblogs.org)

Nel momento in cui un movimento sociale come Via Campesina si riappropria di un approccio come quello agroecologico, esso diventa un vero strumento di trasformazione sociale in grado di rispondere alle principali sfide della società:

  • La questione dello sviluppo e del progresso economico
  • L’esplorazione di nuovi saperi
  • La salvaguardia di una contadinanza (paysannerie) plurale e diversificata
  • La necessità di rispondere alle richieste dei contadini su terra, acqua, semi, pratiche agricole e nutrimento.
  • La scelta di un approccio impegnato alla ricerca, che implica una ridefinizione dei campi di indagine e un’altra relazione con la terra.

In questo modo vengono riaffermate le dimensioni sociali e politiche dell’agroecologia. Non si tratta solo di “lavorare con i contadini”, ma di riconoscere le esigenze di un movimento sociale, il più importante del mondo.

Un passo verso il riconoscimento dell’importanza dei contadini è stato compiuto il 17 dicembre 2018 a New York, con il voto dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite alla “Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei contadini e delle altre persone che lavorano nelle aree rurali”.

Nella dichiarazione si notano importanti progressi in diversi ambiti: il diritto alla terra e ad altre risorse naturali, alle semenze, il diritto ad avere mezzi di sussistenza dignitosi, il diritto alla sovranità alimentare, alla previdenza sociale, il diritto di partecipazione. Ricordiamo che i Paesi Europei, ad eccezione del Portogallo e della Svizzera, si sono astenuti o hanno votato contro (come Regno Unito, Ungheria, Svezia). Tra gli altri paesi contrari annoveriamo anche gli Stati Uniti, l’Australia, il Guatemala, Israele e la Nuova Zelanda. Questa Dichiarazione non è certo vincolante per gli Stati, ma è sicuramente un modo per riconoscere le peculiarità del mondo. Siamo fiduciosi che i contadini, uomini e donne, insieme ai loro alleati, saranno in grado di continuare le loro lotte e, allo stesso tempo, denunciare i torti da loro subiti e di stabilire una visione altra del mondo restituendo centralità ai contadini. È in gioco il futuro dell’umanità. 

Sylvia Pérez-Vitoria

Dicembre 2019

© Massimiliano Amati www.redellearinghe.com