‘Regredire al ruolo di primati’ di Spillaman

Da Bologna continua – Dall’Xm all’Appennino di Paolo Spillaman Ferrandi, abbiamo pensato di offrirvi questo splendido racconto, come testimonianza di quel percorso che dalla città – una città comunque intesa in un certo modo – porta alla montagna. L’ulivo, affezionato epidemico, accompagna Paolo e chi come lui verso gli appuntamenti frammentati ma fertili di straordinari gruppi umani, diversi, piccoli.


La triangolazione Lombardia – Bologna – Valle degli Elfi dava già frutti gustosi, ma le mappe aspettavano altri punti saldi da fissare, e le mie mani ancora troppo poco callose avevano altre scuole da frequentare. L’olivocoltura entrò per caso nella mia vita, per rimanerci: grazie ad Enea.

Lo trovai a Balzolino una primavera, che era già lì da un po’. Ci era arrivato in cerca di qualcosa di più, come tutti. Era un veneto veramente molto giovane – avrà forse avuto 19 anni – ma con un sacco di esperienza e di capacità. Era uscito dalla scuola Waldorf steineriana (1), e si vedeva. Non sono seguace dell’antroposofia, ma le scuole che la insegnano sicuramente hanno un pregio: preparano su materie pratiche come falegnameria e lavori manuali, orticoltura e botanica, cucina e cucito, musica e arte e chi le ha frequentate in genere si nota per la dimestichezza con la praticità manuale e per l’equilibro nelle relazioni. Enea poi aveva certe qualità sue, non aveva imparato tutto a scuola: era ballerino di neufolk, sognatore, l’animo leggero e il cuore resistente. Diventammo amici quasi subito.

Tra la mungitura delle capre, qualche giretto in altri villaggi elfici con Pace e Bene e le notturne di scacchi con l’invincibile Rambovic, che sotto la severità e la rudezza nascondeva tutto sommato una natura comunitaria, Enea mi propose un lavoro: “C’è una signora in Chianti che ha delle olive da raccogliere, ci andiamo io e un’amica. Vieni anche tu? La paga è metà del raccolto, ci dà ospitalità, il lavoro dura circa due settimane”. E perchè no?
In ottobre partimmo per San Polo in Chianti, un piccolo centro tra le colline più desiderate al mondo che vive di olio, vino, turismo e campanilismo fratricida.

La Panda con gli zaini legati sul portapacchi affrontò senza tentennamenti la vecchia A1 quando ancora ne Tav né Variante di Valico avevano iniziato a violentare l’Appennino. La signora del podere era moglie di un dentista, e per passione teneva dietro a diversi uliveti e – non solo per passione – a due appartamentini perfetti da affittare ai turisti. In uno di questi ci sistemammo, e il lavoro lo imparammo in fretta.

Raccogliere le olive è meditazione. Ci fa regredire al ruolo di primati, arrampicati sugli alberi tra le foglie, e da quell’anno fu un appuntamento fisso dapprima in Chianti, poi sul Monte Pisano. L’unico tipo di raccolta interessante, meditativa e adatta a chi lo fa per scelta e per ricerca, oltre che per lavoro, è quella manuale. Abbacchiatori, trattori e altri strumenti a motore o elettrici servono per rendere il lavoro più remunerativo ma stancante, noioso e per nulla poetico. Rastrellini e pinze Ciani (2) sono gli unici dispositivi consentiti, oltre a delle reti buone e a un seghetto bene affilato. La scala è per dilettanti, e noi lo saremmo stati davvero poco.

In Chianti e in tutto il centro Italia non si dispongono le reti su tutte le terrazze in anticipo – come ad esempio è d’uso in Liguria – aspettando la cascola naturale delle olive. Inoltre, essendo quasi tutti i terreni terrazzati, non è possibile procedere alla scuotitura albero per albero con un braccio meccanico collegato a un trattore – come si fa ad esempio in Puglia o nella penisola iberica – generando un olio extravergine vendibile anche a tre euro al litro.

La raccolta manuale è il metodo più semplice e meno invasivo; più delicato e rispettoso dell’albero rispetto agli abbacchiatori elettrici, che tendono ad ammaccare le olive e a danneggiare le fronde sottili. L’olio brucato a mano e franto in giornata è un’eccellenza, e la differenza si sente. Un’eccellenza zen, che inizia con la posa delle reti. Il retista è un ruolo raffinato e indispensabile: senza un buon retista si rischia di perdere parte del raccolto. È un pezzo unico, come il portiere in una squadra di calcio. Del resto anche il portiere si occupa di reti, per lui nessuna palla deve entrare; per l’altro nessuna oliva deve uscire.

Foto di Jànos Chialà. www.postphotography.eu

Ogni oliva, una goccia d’olio. Ogni oliva, una goccia d’olio. Dopo tre mesi di raccolta, ogni fottuta merdosissima oliva marcia diventa comunque una lurida odiosa goccia d’olio; a quel punto quasi due, dato che a maggior maturazione corrisponde una maggiore resa in percentuale.

Il retista è un elemento a sé nella squadra di raccoglitori. Non è detto che non sia intercambiabile, certo. Anche un centravanti potrebbe riuscire con successo a parare qualche cannonata. Ma un buon retista – modestie a parte – è l’elemento vincente di una squadra. Ne pianifica il lavoro. Mentre i raccoglitori sono impegnati sulle reti già stese, lui è già avanti di almeno tre alberi, da solo, concentrato nel creare la sua opera ingegneristica transitoria esprimendo in quel momento il massimo della genialità. Capace di vincere dislivelli impronunciabili e di sagomare la sua vittoria intorno ad alberi così antichi e contorti che dovrebbero essere catalogati come monumento nazionale. Il tutto, con l’occhio sempre vigile sulla squadra di raccoglitori che lo segue, perché sarebbe una ignominia per lui far trovare al loro lento procedere il lavoro non finito. La squadra di raccoglitori lascia dietro di sé una scia di alberi spogliati da tutte le olive, che giacciono sulle reti. E’ compito soprattutto del retista disfare il suo lavoro portando a compimento, con un sistema di rotolamento e accumulo, la missione finale: far scivolare tutte le olive nelle loro cassette di plastica. Possibilmente con il minor numero di foglie – e di altri corpi estranei, tra cui le bozze legnose della rogna dell’olivo che inevitabilmente si mischiano al prodotto pregiato – possibile.

Le reti liberate dalle olive verranno portate avanti ad arredare nuovi alberi carichi di prodotto, in un avanzare felino e felpato che conosce tregua solo nei rari giorni di pioggia. Parlo del ruolo fondamentale dei retisti con questa enfasi perchè – modestamente – possiedo il patentino virtuale di retista rilasciato da Rambovic, esperto raccoglitore dai tempi di Leonid Il’ič Brežnev (3). Non fa curriculum nel mondo reale, ma vale come laurea triennale nel mio mondo reale, che durerà di certo più a lungo di questa tabula rasa mercificata antropocenica.

In quei primi giorni a contatto con gli ulivi non avevo ancora definito bene il mio ruolo, che era quindi intercambiabile. Ma ero già innamorato dell’ulivo in sé. Un albero generoso, che dà un prodotto incredibilmente prezioso, utile e salutare come l’olio extravergine di oliva ma dà anche legna in quantità: una legna che essendo ricca di oleina brucia bene da subito, senza bisogno di doverla stagionare. Ma il più grande dono che fa ancora l’olivo a chi ci ha a che fare nel momento della raccolta, è accoglierti tra i rami e tenerti un po’ con sé.

I periodi di raccolta delle olive erano per me momenti di rigenerazione fisica e mentale. Tra le foglie, cullato dal rumore ritmico del rastrello o della pinza Ciani che pettina ogni ramo con un dolce fruscio, potevo lanciare lo sguardo lontano tra le colline del Chianti verso Figline Valdarno o nella piana pisana fino alle gru del porto di Livorno e al mare; guardare l’Elba oltre il blu tirrenico e nei giorni fortunati indovinare una striscia di terra all’orizzonte, la Corsica. Cantare con gli amici. E poi mangiare seduti sull’erba, e fumare una canna in santa pace. Sentirsi benedetti. Fisicamente, era una ginnastica stagionale. Tonificare il corpo sotto il sole di novembre quando al di là dell’Appennino era già autunno inoltrato, un autunno di maglioni. Un po’ di regolarità in una vita sregolata: musica e amicizia e perché no, alla fine, anche un po’ di soldi in tasca guadagnati con la coscienza pulita e l’onestà del bracciante agricolo. Scarpe grosse, cervello fino.

Note: 

(1) nota: La pedagogia Waldorf o steineriana è un approccio educativo sviluppato a partire dal 1919 su indicazioni di Rudolf Steiner, una disciplina pseudoscientifica molto in voga in ambiente freak e non solo: i figli di Silvio Berlusconi, tanto per fare un esempio tra i tanti, hanno frequentato la scuola steineriana di Milano.

(2) nota: Pinza raccogli-olive brevettata. Ideata e prodotta per decenni da una piccola ditta a conduzione famigliare, è un arnese così perfetto per il suo compito che l’ideatore dovrebbe essere insignito del Nobel per la meccanica.

(3) nota: Segretario generale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica dal 1964 al 1982.


Il testo è edito da Calamaro Edizioni, con la prefazione di Wolf Bukowski, ed è acquistabile al prezzo di 12€.