Prigogine, un precursore del pensiero ecologico olistico contemporaneo

di Luigi Finarelli

Ilya Prigogine nacque a Mosca il 25 gennaio del 1917, pochi giorni prima della rivoluzione. Nel 1921 la sua famiglia lasciò la Russia e, dopo un breve periodo in Lituania, arrivò a Berlino da dove però ripartirono nel 1929 per la disastrosa situazione economica della Germania e per l’ascesa del nazismo. Si stabilirono a Bruxelles dove Ilya frequentò il liceo e l’università ULB, laureandosi in chimica e in fisica. Continuò poi la carriera universitaria e acquisì la nazionalità belga nel 1949. Nel 1977 gli fu attribuito il premio Nobel per la chimica per i suoi studi sui sistemi termodinamici lontani dall’equilibrio. Ci si può fare un’idea del pensiero di Prigogine attraverso la sua affermazione che la fisica newtoniana è stata “estesa” ormai tre volte durante il Novecento: la prima con l’uso della funzione d’onda nella meccanica quantistica, poi con l’introduzione dello spaziotempo nella relatività generale e infine con il riconoscimento dell’indeterminismo nello studio dei sistemi instabili.

I suoi libri maggiormente noti sono: La nuova alleanza (1981 con I. Stengers), Dall’essere al divenire (1986), Tra il tempo e l’eternità (1989 con I. Stengers), La fine delle certezze (1997). 

Italo Calvino, con il titolo No, non saremo soli, ha recensito su La Repubblica La Nouvelle Alliance pubblicata da Gallimard nel 1979, mettendo in luce alcuni aspetti dei rapporti tra cultura umanistica e scientifica: 

“La Nuova Alleanza […] è anche una meditazione appassionata sull’uomo e l’universo, che rifiutando la separazione tra le ‘due culture’ intesse fittamente in uno stesso discorso le vie aperte dagli scienziati e le domande dei filosofi; non solo, ma non considera estranee o lontane le vie battute dalla poesia.” [1]

Nella conclusione Calvino riportava in traduzione un suggestivo passo della recensione che Michel Serres aveva dedicato pochi mesi prima al libro di Prigogine e Stengers: 

“ ‘Gli universalisti d’una volta avvertivano la legge morale solo nelle notti di bel tempo: circostanza piuttosto rara sulle rive del Baltico’, scrive Michel Serres. ‘Finalmente si fa giorno su cose che io non posso prevedere, come non posso prevedere me stesso. Solo una pietra, un astro, uno sciocco possono essere, talvolta, prevedibili. Finalmente si fa giorno su un mondo circostanziale, differenziato, rischioso, improbabile, altrettanto concreto, variopinto, inatteso, e sì, bello, quanto quello che io vedo, sento, tocco, ammiro’.” [2]

(foto dell’autore)

Le aperture prospettiche suggerite dal pensiero di Prigogine si sono sviluppate principalmente lungo due direttrici: quella della ricerca scientifica in senso stretto, che ha avuto il suo tipico sviluppo nella comunità scientifica, e quella “umanistica” della sua visione filosofico-scientifica che ha avuto anche una certa diffusione presso il pubblico non specialistico durante gli anni Ottanta e Novanta.
Possiamo tentare di delineare il quadro di riferimento nel quale si inserisce il pensiero filosofico di Prigogine partendo dalla testimonianza di Carlo Sini:

“ ‘Da più secoli la nostra cultura occidentale vive, direi, sotto il dominio della dualità, ed è la dualità cartesiana. La si potrebbe forse chiamare dualità materia – spirito’. Il franco riconoscimento di questo stato di cose da parte di un grande scienziato, di un premio Nobel, reca grandissimo conforto a chi ha a cuore l’unità e la sensatezza davvero ‘razionale’ dell’umano sapere; del resto, non a caso Prigogine, oltre che scienziato è stato uno degli spiriti più acuti e più ricchi di interessi del  secolo scorso. Lui stesso amava definirsi scienziato e umanista”. [3]

Molto esplicita è anche la testimonianza personale di Bauman il quale fa risalire a Prigogine l’ispirazione della sua celebre immagine della liquidità nelle strutture sociali:

“Fin da bambino sono stato affascinato dalla fisica. Poi sono diventato un sociologo e non un astronomo come sognavo. L’idea della modernità liquida mi è venuta leggendo il fondamentale libro di Ilya Prigogine, Nobel per la fisica [sic], The End of Certainty. Prigogine parlava della debolezza dei legami tra le molecole dei liquidi contrapposta alla forza di questi legami nei corpi solidi”. [4]

Nell’ambito più strettamente scientifico è significativo il volume Physics and the Ultimate Significance of Time da David Ray Griffin nel quale sono riportati gli esiti del convegno che si era tenuto nel marzo del 1984 alla Claremont University (California) sotto gli auspici del Center for Process Studies al quale hanno partecipato David Bohm, Ilya Prigogine e diversi studiosi della scuola di filosofia del processo ispirata a Whitehead. Da quel dibattito emerge l’idea di una importante fase di transizione e di un campo di ricerca quantomai aperto e fertile di ulteriori sviluppi. In questa prospettiva si riportano due brevi frammenti di quel dibattito dagli interventi dei due principali protagonisti.

Prigogine sul ruolo dell’irreversibilità del tempo: “We all know that we are going through an age of transition. It is therefore natural that we explore various directions and that no consensus has yet been reached. However, it seems to me that the role of time, of evolution, and therefore also of irreversibility and entropy is steadily increasing in importance. Moreover, I believe that irreversibility will indeed play an unifying role.” [5]

E David Bohm sulla relazione tra le sue idee e quelle di Prigogine: “It [laws in complex systems fundamental as physics and chemical laws in simple systems] is an important step toward wholeness in our thinking, insofar as it may lead us to see that the division between ‘large’ and ‘small’, and between ‘simple’ and ‘complex’, are of only a relative and limited kind of significance. […] Prigogine’s suggestion of the primacy of internal time is very interesting and deserves a great deal of further development. […] I would like to suggest a certain relationship between Prigogine’s ideas and my own notions on the implicate order. […] extend the implicate order such that it would imply a fundamental relationship between quantum mechanics and irreversible processes”. [6]

Il pensiero della complessità che vede in Prigogine uno dei suoi iniziatori è, anche in anni recenti, un importante quadro di riferimento per gli studi sulla sostenibilità in ambito ecologico di Jennifer Wells (Transformative Studies presso California Institute of Integral Studies).  

“But through simplicity we discover complexity. In fact, complexity theories present the attempt to do this at the next greater level of detail and sophistication. This is one way to explain that complexity in no way replaces science or the scientific process, but is merely a new, transformative, accretion of this process.” [7]

“Today’s dominant knowledge paradigm and Anthropocene crisis are two sides of one coin: extant flaws of modern thought are part and parcel of the economic and political ideas and institutions driving both social and environmental global crises. Rosennean relational biology and Morinian complex thought shift the knowledge paradigm from modernity towards complexity, working to transcend the ontological flaws underlying the sciences to better grasp and address the social drivers of global crises.” [8]

Non si può tralasciare la posizione di Luigi Zanzi che in numerose occasioni ha riconosciuto il valore del pensiero di Prigogine nella prospettiva di un nuovo umanesimo:

“s’impone con urgenza grave l’esigenza di un nuovo ‘umanesimo’, di una visione dell’uomo capace di rigenerare nel suo ideare e nel suo agire una nuova misura e un nuovo criterio d’intesa nell’interagire con la natura. […] Si tratta, pertanto, di mutare radicalmente e profondamente la comprensione del cosmo, intraprendendo una nuova ‘rivoluzione scientifica’ che, abbandonate le pretese di fare della natura un ‘essere’ consistente in una macchina deterministica assoggettabile ad un dominio meccanicistico di sfruttamento, si apra generosamente ad intendere la natura come un ‘divenire’ consistente in un’incessante storia vivente, matrice inesauribile di sempre nuove e diverse forme di vita.” [9]

(foto dell’autore)

Al contempo le posizioni di Prigogine hanno attirato anche molte critiche, principalmente per il suo pensiero filosofico, un posto di rilevo spetta alla querelle [10] con René Thom del quale si riportano due brevi accenni:

“Il caso […] è un concetto affatto negativo, vuoto, e dunque spoglio di interesse scientifico; il determinismo invece è un oggetto di affascinante ricchezza per quanti sappiano esaminarlo. Alquanto sbrigativamente nella Nuova alleanza s’è ritenuto di dover danzare sopra le spoglie del determinismo laplaceiano”. [11]

“L’addebito è grave: noi glorifichiamo “oltraggiosamente” il caso, il rumore, la fluttuazione. E la condanna è commisurata all’accusa: attitudine antiscientifica, propensione al confusionismo, apostolato della diserzione. Sentenza inequivocabile, ma dove sono le prove? Sentenza inequivocabile, ma dove sono le prove? Ho letto e riletto il testo di René Thom. Ho trovandovi soprattutto – e qui parlo unicamente a nome degli autori della Nuova Alleanza – dichiarazioni perentorie spiegabili soltanto con l’atteggiamento emotivo dell’autore.” [12]

La critica è proseguita anche rimettendo in campo la poca stima di una parte del mondo scientifico nei confronti di Bergson:

“Non è infatti detto che la freccia del tempo, così come essa figura nell’esperienza soggettiva, sia un dato preliminare dal quale partire per sviluppare teorie aventi lo scopo di esplorare i processi naturali. … A meno che non si dia per vera la credenza secondo la quale Henri Bergson ha capito tutto quel che c’è da capire in proposito, come sembrano inclini a ripetere Ilya Prigogine e Isabelle Stengers in Entre le temps et l’éternité”. [13]

Piuttosto che una generica critica di anacronismo:

“L’approccio di Prigogine alla complessità appare oggi utopistico e paradossalmente poco interdisciplinare. Voleva ridurre tutti i sistemi complessi a un unico schema, ma senza successo.” [14]

Pochi anni prima invece Prigogine metteva l’accento sulla comune appartenenza alla tradizione scientifica di vari scienziati al di là delle loro opinioni divergenti.

“Al di là della loro opposizione, Bohr e Einstein appartenevano alla stessa cultura, quella da cui deriva anche La nuova alleanza e quella che riunisce, malgrado le loro divergenze, uno Jacques Monod, un René Thom, un Bernard d’Espagnat. Accettare quella tradizione, il carico di significati che essa attribuisce alla scienza […] non significa affermare che quella tradizione sia superiore ad altre, ma riconoscerla come un’eredità che ci individua.” [15]

La contrapposizione tra Thom e Prigogine è sintetizzata a posteriori nel 2002 da Marcello Cini nella prefazione al libro di Tonietti sulla teoria delle catastrofi: 

“perché lo scontro tra Thom e Prigogine si è risolto così rapidamente con la scomparsa di entrambi i contendenti, invece che con la vittoria dell’uno o dell’altro? La mia risposta è che entrambe le teorie in competizione coglievano gli elementi indispensabili per ‘guardare il mondo con occhi diversi’, e rispondevano dunque a una profonda esigenza del mutato ‘Spirito del tempo’, ma entrambe avevano la pretesa di unificarlo riducendolo a un unico schema interpretativo. La pretesa di Prigogine di ricondurre tutta l’evoluzione del mondo reale al ‘principio di ordine mediante fluttuazioni’ era altrettanto riduttiva e ideologica della pretesa di Thom di negare l’evoluzione per congelarlo nella geometria delle sette catastrofi elementari.” [16]

Nello stesso anno lo storico della fisica Antonino Drago ha confrontato criticamente il pensiero di Prigogine e di Cini a proposito della teoria del caos e dell’approccio storiografico:

“Prigogine ha creduto di ampliare e rafforzare la sua alternativa al paradigma meccanicistico appoggiandosi alla teoria del caos, vista come ulteriore teoria antinewtoniana. […]  Con questa mossa la base teorica di Prigogine si è allargata, ma è diventata ancor meno precisa. […] In definitiva, Prigogine non ha una chiara base strutturale, né nei rapporti tra le sue teorie di base, né nei fondamenti della sua teoria, vista secondo le due scelte fondamentali. Egli non si interessa di approfondire questi aspetti e va piuttosto a lavorare su singoli concetti usuali della fisica (irreversibilità, tempo, ecc.), cioè sulla fisica intesa soggettivamente.” [17]

(foto dell’autore)

In anni piuttosto recenti alcuni studi hanno sostenuto l’ipotesi di un significativo contribuito del pensiero di Prigogine alla svolta culturale ed ecologica che ha caratterizzato gli ultimi decenni del Novecento. 

Jane Bennett nel suo The Enchantment of Modern Life: Attachments, Crossings, and Ethics [Princeton University Press] del 2001 considera che anche il pensiero di Prigogine faccia parte delle meraviglie della modernità. In particolare la scienza di Prigogine non disincanta il mondo ma piuttosto afferma la favolosa varietà dei modi di divenire degli oggetti di natura e afferma che i sistemi fisici continuano a possedere una sorta di intelligibilità perfino nei loro stati più complessi ed indeterminati.

Il saggio di Bennet è stato poi citato da Dan Hicks nel suo The Oxford Handbook of Material Culture Studies [Edited by Dan Hicks and Mary C. Beaudry, Oxford University Press, 2010] nel quale la svolta verso la materialità è considerata come un’alternativa al puro culturalismo.

Sempre in ambito anglosassone, nello studio di Dorothea Olkowski Postmodern Philosophy and the Scientific Turn [Indiana University Press, 2012] trova ampio spazio l’analisi del pensiero di Prigogine: il posto dell’uomo, i processi irreversibili, l’influenza della termodinamica del non equilibrio, la rottura della simmetria e la scienza dei flussi.  

Lo studioso di trasformazione delle strutture della conoscenza e di studi culturali,  Richard E. Lee, evidenzia, nel 2007, come si stesse attraversando un periodo di “nuovo disordine mondiale”, ovvero di fluttuazioni lontano dall’equilibrio e come Prigogine lamentasse la mancanza di utopie nelle visioni dei futuri possibili.

“In this secular crisis of the structures of knowledge, the message for social scientists so convincingly conveyed by developments across the disciplines is that we are not living the ‘new world order’ but a transition period of ‘new world disorder’, a time of massive fluctuations far from equilibrium in the language of complexity studies. […] One answer then to how to proceed is that of individuating possible futures, or what Immanuel Wallerstein has called ‘utopistics’ (1998) and what Ilya Prigogine lamented as his fear ‘of the lack of utopias’.” [18]

Il filosofo della scienza estone Leo Näpinen ha tratteggiato il programma di revisione della scienza classica di Prigogine e ne ha tratto la conclusione sociale che è necessario riconoscere una fondamentale indeterminatezza nella storia globale dell’uomo e del mondo a causa del fenomeno dell’auto-organizzazione. [19]

Per concludere è significativo ricordare che nel maggio del 1999 è stato organizzato dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli e dal Centro Internazionale di Storia dello Spazio e del Tempo – Dipartimento di Filosofia dell’Università di Padova – il convegno internazionale “Scienza, Storia, Società – Il pensiero di Ilya Prigogine e la sua influenza nella cultura del Novecento” che ha messo in luce la vastità dell’impatto del pensiero di Prigogine coinvolgendo figure di primo piano come Ervin Laszlo, Immanuel Wallerstein, Mauro Ceruti, Giulio Giorello e Isabelle Stengers. In particolare Laszlo, nel suo intervento Bifurcations of Western Civilization, ha mostrato come le proprietà che caratterizzano i processi di biforcazione corrispondano bene ai requisiti della conoscenza storica, particolarmente per lo studio dei processi di crisi e trasformazione in storia. Il tema centrale del convegno, ovvero la portata e l’influenza culturale del pensiero di Prigogine, è stato esposto principalmente nell’intervento di Violeta Guyot.

“La Nouvelle Alliance, n’a pas seulement inauguré une autre histoire dela Physique, elle a aussi ouvert une nouvelle conception des connaissances scientifiques. Penser et créer dans la ligne marquée par cette perspective, exige à l’homme des sciences, à l’historien traditionnel et à l’épistémologue normatif, une mutation de sa rationalité, aussi profonde que l’a été la révolution copernicienne.” [20]

Nell’ambito dell’editoria italiana, durante gli anni Settanta – Ottanta, Prigogine e Stengers furono coinvolti da Giulio Giorello per contribuire all’ambizioso e innovativo progetto dell’Enciclopedia Einaudi. La presenza di Calvino, a lungo collaboratore redazionale della casa editrice Einaudi, è riconoscibile sullo sfondo nell’impostazione labirintica, complessa e ipertestuale ante litteram del progetto. Ne scaturirono sette articoli: Energia,  Interazione, Ordine/Disordine, Semplice/Complesso, Soglia, Vincolo tutti a doppia firma tranne uno, Controllo/Retroazione, firmato anche da Nicolis.

Ecco alcune frammentarie citazioni dagli articoli Ordine/Disordine e Semplice/Complesso che ben si inseriscono nel discorso qui sviluppato. Nel primo emerge il tema di una diversa concezione dell’ordine e di un atteggiamento più rispettoso della nuova scienza.

“In passato il clima, la pioggia e il bel tempo furono sinonimi di arbitrarietà e d’imprevedibilità. Oggi si può scorgere l’ordine là dove sembrava regnare il disordine, ma si tratta dell’ordine dei vortici e non di quello del cristallo. Ecco che si pone la questione: sarà possibile realizzare l’utopia? Sarà possibile influenzare il futuro climatico del nostro pianeta? L’ordine dissipativo apre la strada ad una scienza attiva di tipo nuovo, forse più vicina alle scienze antiche, perché è la scienza delle opportunità, delle occasioni favorevoli, delle azioni sensate e non la scienza di un intervento che trasforma e che domina.” [21]

Nell’articolo Semplice/Complesso si mettono in luce alcune caratteristiche della complessità in quanto positivo valore della scienza e promettente prospettiva di interpretazione della natura:

“Il reale è semplice, la complessità non è che un’illusione e i saperi che considerano complesso il mondo non appartengono alla scienza. Questa convinzione, che ha guidato alcuni dei fisici più grandi, non è una convinzione individuale soggettiva. Certo i successi effettivi, di alcuni dei quali si è parlato sopra, possono indurre un entusiasmo quasi religioso, ma di fatto il mondo spopolato e deserto che un Einstein prende per oggetto della sua ricerca teorica si contrappone anzitutto al mondo sociale popolato di saperi, di pratiche, di questioni che la scienza accademica ha considerato parassita e rumoroso nel momento stesso della sua istituzione.” [22]

e continuano ulteriormente:

“Che si tratti della biologia, con l’importanza nuova assunta dalle questioni ecologiche, della fisica, o dello sviluppo di concetti formali che consentono di porre un problema identico su diversi registri (catastrofi, oggetti frattali, stabilità e fluttuazione, ordine attraverso il rumore, ecc.), oggi il problema non è più di ridurre la complessità o di evitarla, ma di cercare i mezzi per descriverla, di comprendere in qual modo l’evoluzione verso un complessità crescente, ancora da definire, appartenga propriamente alla storia naturale della natura.” [23]

Nell’ultimo volume dell’Enciclopedia, pubblicato nel 1982, Jean Petitot ha poi ripreso con un certo distacco il tema del dibattito nel suo contributo conclusivo intitolato Unità delle matematiche:

“Come hanno ben dimostrato Ilya Prigogine e Isabelle Stengers nella Nouvelle Alliance, ciò che si gioca, molto al di là delle piccole polemiche fra studiosi, nel dibattito sulla teoria delle catastrofi, sulle strutture dissipative, ecc., è l’emergenza di una nuova filosofia naturale attraverso cui la parte maledetta della fisica classica fa ritorno, pur restando, dal punto di vista genealogico, nella storia di questa fisica.” [24]

In conclusione possiamo riconoscere questa nuova filosofia naturale come una significativa eredità del pensiero scientifico-filosofico di Prigogine che, a distanza di quarant’anni dalla pubblicazione italiana de La nuova Alleanza, innerva in profondità la visione ecologica, assolutamente attuale e necessaria, del mondo contemporaneo. In particolare una concezione unitaria, olistica, della natura nella quale l’uomo non  è “solo nell’immensità indifferente dell’universo nel quale è emerso per caso” [25], come scriveva Monod nel 1970, ma è invece in “ascolto poetico della natura – nel senso etimologico della parola, per cui un poeta è un artefice – […] solo così possiamo partecipare al divenire culturale e naturale, perché questa è la lezione che ci impartisce la natura, se vogliamo davvero ascoltarla.” [26]

Note:

[1] Calvino Italo, No, non saremo soli, la Repubblica, 3 maggio 1980, pp. 16-17.

[2] Ibidem.

[3] Sini Carlo, Prefazione, in Zanzi Luigi, La creatività storica della natura e l’avventura dell’uomo, Jaca Book, Milano, 2014, p. 1.

[4] Bauman Zygmut, intervista di Wlodek Goldkorn: Zygmunt Bauman: “Io, sempre straniero, l’unico giudice è la mia coscienza”, la Repubblica, 18 novembre 2015.

[5] Prigogine Ilya, in Physics and the Ultimate Significance of Time, David Ray Griffin editor, State University of New York Press, 1986, p. 258.

[6] Ivi, pp. 261-263.

[7] Wells Jennifer, Complexity and Sustainability, Routledge, New York, 2013, p. 162.

[8] Wells Jennifer, Mind the gap: Bridging the two cultures with complex thought, Ecological Complexity, 35, 2018, p. 81.

[9] Zanzi Luigi, La creatività storica della natura e l’avventura dell’uomo, Jaca Book, Milano, 2014, pp. 51-52.

[10] La polemica iniziò con un articolo di Thom pubblicato sulla rivista Le Débat (R. Thom, Halte au hasard, silence au bruit, ‘Le Débat’, 1980 (3), pp. 119-132), al quale Prigogine replicò sulla stessa rivista (I. Prigogine, Loi, histoire…et désertion, ‘Le Débat’, 1980 (6), pp. 122-130) e fu poi conclusa sei anni dopo con gli articoli: di R. Thom, Postfazione al dibattito sul determinismo, (pp. 233- 245) e di I. Prigogine-I. Stengers, La polemica sul determinismo, sei anni dopo, (pp. 217-232), entrambi pubblicati nel volume in Krzysztof Pomian (a cura di), La querelle du déterminisme. Philosophie de la science d’aujourd’hui, Gallimard, Paris, 1990, trad. it. Dario Formentin, Sul determinismo. La filosofia della scienza oggi,  Il Saggiatore, Milano, 1991, che raccoglie anche gli articoli iniziali e altri interventi sul dibattito. Inoltre l’argomento è analizzato anche nell’articolo di Francesco Crapanzano Lo ‘scalpo’ di Laplace e la ‘diserzione’ della complessità: la querelle Prigogine-Thom sul determinismo  ‘AGON’ ( ISSN 2384 – 9045 ), n. 16, gennaio-marzo 2018.

[11] Thom René, Basta con il caso, taccia il rumore, in Krzysztof Pomian (a cura di), La querelle du déterminisme. Philosophie de la science d’aujourd’hui, Gallimard, Paris, 1990, trad. it. Dario Formentin, Sul determinismo. La filosofia della scienza oggi,  Il Saggiatore, Milano, 1991, p. 60.

[12] Prigogine Ilya, Loi, histoire… et désertion, Le Débat, 1980 (6), p. 123, in Krzysztof Pomian (a cura di), La querelle du déterminisme. Philosophie de la science d’aujourd’hui, Gallimard, Paris, 1990, trad. it. Dario Formentin, Sul determinismo. La filosofia della scienza oggi,  Il Saggiatore, Milano, 1991, p. 85.

[13] Bellone Stefano, I nomi del tempo – La seconda rivoluzione scientifica e il mito della freccia temporale, Bollati Boringhieri, Torino, 1989, p. 16 e nota 2.

[14] Zecchina Riccardo, intervista di Fabio Pagan, Il Piccolo, Trieste, 3 giugno 2003.

[15] Prigogine Ilya Stengers Isabelle, Tra il tempo e l’eternità, Bollati Boringhieri, Torino, 1989, p. 19.

[16] Cini Marcello, Prefazione, in Tonietti Tito, Catastrofi, nuova edizione, Dedalo, Bari, 2002, pp.10-11.

[17] Drago Antonino, Storiografia della fisica classica e teoria del Caos: Prigogine e Cini, in M. Leone, A. Paoletti, N. Robotti .(eds.): Atti XXII Congresso di Storia della Fisica e dell’Astronomia, (2002), Microart, Recco GE, 2004, pp. I 75-194.

[18] Lee Richard E., Cultural studies, complexity studies and the transformation of the structures of knowledge, International journal of cultural studies, Volume 10(1): 11–20, 2007.

[19] Näpinen Leo, Ilya Prigogine’s program for the remaking of traditional physics and the resulting conclusions for understanding social problems, TRAMES, 2002, 6(56/51), 2, 115–140.   

[20] Guyot Violeta, Ilya Prigogine: une révolution copernicienne dans l’histoire de la science et de l’épistémologie, convegno Scienza, Storia, Società – Il pensiero di Ilya Prigogine e la sua influenza nella cultura del Novecento, in Scienza e Storia, Rivista del Centro Internazionale di Storia dello Spazio e del Tempo, n. 14, Brugine, 2001, p. 121.

[21] Prigogine Ilya – Stengers Isabelle, Ordine/Disordine, in Enciclopedia Einaudi, Giulio Einaudi editore, Torino, 1980, vol. 10, p. 105.

[22] Prigogine Ilya – Stengers Isabelle, Semplice/Complesso, in Enciclopedia Einaudi, Giulio Einaudi editore, Torino, 1981, vol. 12, p. 722.

[23] Ivi, p. 727.

[24] Monod Jacques, Il caso e la necessità, Mondadori, Milano, 1970, pp. 171-172.

[25] Prigogine Ilya – Stengers Isabelle, La nuova alleanza – Metamorfosi della scienza, Giulio Einaudi editore, Torino,1981, p. 288.